Apriamo il nuovo anno con un argomento apparentemente ultra noto e quasi scontato, ossia la prova del danno patrimoniale da sinistro derivante dalla circolazione stradale.

Lo affrontiamo però in un’ottica di continuità, iniziando con questo contributo che vuole essere il primo di altri sullo stesso tema.

La prova del danno derivante da sinistro stradale implica un duplice campo di indagine: prova del nesso causale o eziologico e prova dell’effettivo esborso necessario a ripristinare il veicolo danneggiato.

Il primo profilo probatorio comporta la necessità di dimostrare che un sinistro sia accaduto e più specificamente che vi sia un nesso di causalità tra l’evento di danno (il fatto generatore del danno) e il danno conseguente.

La regola vuole che, dimostrato il nesso causale tra l’evento e il danno, sia risarcibile ogni danno che sia conseguenza diretta o indiretta di quell’evento; il danno, inoltre, deve ricomprende tanto il danno emergente (la perdita effettivamente subita) quanto il lucro cessante (mancato guadagno o perdita di future opportunità) [art. 1223; 2043; 2054; 2056 cc].

Entrambi i momenti dell’accadimanto sinistroso vanno provati da chi agisce, secondo il noto principio dell’onere della prova espresso dall’ art. 2697 cc:

Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che

ne costituiscono il fondamento.

Chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il

diritto si è modificato o estinto deve provare i  fatti  su  cui

l’eccezione si fonda.

In questa nostra breve riflessione, partiamo proprio dal secondo aspetto ossia, dato per scontato che sia stato già dimostrato il nesso causale e che non vi sia alcuna contestazione sull’ an debeatur, cerchiamo di verificare quali sono gli strumenti più giusti per la dimostrazione del quantum debeatur, ossia la diminuzione patrimoniale subita dal danneggiato a seguito del sinistro, corrispondente alla spesa sostenuta o da sostenere per le riparazioni del veicolo.

Nel campo d’indagine qui delimitato ci occupiamo di due possibili strumenti di prova: la fattura di avvenute riparazioni e il preventivo delle future riparazioni.

Relativamente alla fattura di riparazione, il riferimento giurisprudenziale più attendibile rimane ancora Cassazione ord. 12 febbraio 2018 n. 3293, la quale, nell’affrontare un caso di danno da circolazione stradale, si pone nel solco della tradizione, ribadendo quanto segue:

«Va per altro verso posto in rilievo che giusta principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità la fattura non costituisce, di per sè, prova del danno, tanto più se non è accompagnata da una quietanza o da un’accettazione (v. Cass., 20/7/2015, n. 15176; Cass., 19/7/2011, n. 15832) e se proviene dalla stessa parte che intende utilizzarla».

Ciò vuol dire che la fattura, documento prodotto normalmente dalla stessa parte che intende avvalersene in giudizio (il danneggiato), non può considerarsi, di per sé, documento probatorio a tutti gli effetti bensì, come anche è stato rilevato, fungere da elemento indiziario. Ciò che va provato infatti è l’entità dell’esborso compiuto; pertanto, essa costituirà prova della effettiva diminuzione patrimoniale solo se accompagnata da una quietanza liberatoria o da una accettazione provenienti da chi ha ricevuto il pagamento. Direi che possono essere utilizzate a corredo della fattura prodotta dal danneggiante sia la copia dell’avvenuto bonifico di pagamento in favore del riparatore (carrozziere o chi per esso) sia l’eventuale dichiarazione resa in giudizio dal riparatore stesso.

Il principio sopra esposto era stato enunciato già nella sentenza Cass. 20 luglio 2015, n. 15176, richiamata nell’ordinanza del 2018, che qui si riporta:

«Si osserva, invece, che la fattura non costituisce, di per sé, prova del danno, tanto più che non è accompagnata da una quietanza o da un’accettazione (sentenza 19 luglio 2011, n. 15832) e che proviene dalla stessa parte che intende utilizzarla, per di più nella qualità di cessionaria del credito».

Si noti nel passaggio finale il particolare appunto della Corte nel caso in cui vi sia stata una cessione del credito in favore presumibilmente del riparatore che ha emesso fattura.

Una ulteriore precisazione è doverosa: anche laddove quietanzata, la fattura può essere contestata nel suo importo. Ciò vuol dire che è erroneo argomentare che, una volta prodotta la fattura quietanzata, il giudice deve solo liquidare in conformità. Si evince, infatti, proprio il contrario dalla lettura della citata ord. 3293/2018: non si può ritenere provato in toto il danno sol perché viene esibita una fattura quietanzata, in quanto la parte contro cui è prodotta potrebbe contestare le voci di danno, disconoscendone alcune, dimostrando che alcune voci sono state gonfiate in maniera compiacente o che altre non sono riconducibili al danno provocato dal sinistro per cui è causa e così via. Sul punto, oltre la richiamata ordinanza, si veda ancora una volta Cass. 15176/2015:

«la fattura dimostra che i lavori hanno interessato anche parti della vettura (rivestimento posteriore) che, in base alla stessa deposizione testimoniale riportata in ricorso, non era stata interessata dall’urto».

Riflessioni analoghe compie Cassazione sent. 11093 del 10 giugno 2020 (relativa in realtà ad un danno condominiale), la quale sottolinea in maniera ancora più marcata l’irrilevanza della sola fattura ai fini della prova del danno (ossia del nesso causale), ma al contempo la necessità che vi siano delle contestazioni specifiche delle voci in essa riportate qualora si voglia confutare la congruità degli importi.

Passando ora al preventivo di riparazioni, di notevole interesse è Cassazione ord. 3 dicembre 2020 n. 27624, che si spinge decisamente oltre gli assunti delle precedenti pronunce.

L’ordinanza si sofferma su un aspetto molto rilevante in ambito processuale e trascurato dalle altre decisioni citate ossia la forma del documento prodotto ai fini della rilevanza probatoria. Infatti, parlando di preventivo, si distingue tra documento in originale e copia fotostatica (inutile dire che le stesse considerazioni valgono per la fattura).

Nel caso portato all’attenzione della Corte, il proprietario di un autocarro danneggiato in un sinistro aveva prodotto, a riprova del danno, un preventivo accompagnato da fattura e suffragato da prova testimoniale. Detto preventivo era stato contestato nel suo ammontare solo genericamente in quanto, a dire della parte danneggiante, esso non richiedeva una contestazione specifica in quanto prodotto in fotocopia incompleta e non firmata.

La Corte invece accertava che il preventivo era chiaro e leggibile e che, pertanto, meritava una specifica contestazione, in mancanza della quale, considerati anche gli altri strumenti probatori, esso doveva ritenersi probante a tutti gli effetti rispetto agli importi riportati. Interessante non solo il passaggio sul modo di contestare, ma anche sui tempi, per non incorrere in preclusioni. Così la Corte:

«Il primo motivo postula che una contestazione solo generica ed anzi contraddittoria in primo grado comporti una acquiescenza che non può essere poi messa in discussione con l’appello. La violazione dell’onere, imposto al convenuto (art. 167 c.p.c.) di prendere posizione in maniera specifica e non limitarsi ad una generica contestazione, ha come conseguenza che non solo l’attore viene esonerato dalla prova del fatto non contestato, ma che non è ammessa una contestazione specifica successiva, ossia fuori termine (Cass. 22701/2017)». (…)

«Il convenuto non ha l’onere di prendere specifica posizione su documenti che non hanno i requisiti minimi per essere considerati tali, condizione questa che precede quella del loro valore probatorio, attenendo alla loro stessa natura giuridica di documenti; ha invece l’onere di contestazione specifica di documenti che sono giuridicamente tali (il preventivo in originale completo di ogni elemento identificativo, lo è), e di cui si tratta di valutare l’efficacia probatoria. In questo caso la contestazione è necessaria proprio perché, dando per scontato che il documento è giuridicamente tale, ossia ha i requisiti per considerarsi documento, l’unica cosa di cui si discute è se sia atto sufficiente a fare da prova di un fatto». (…)

«Inoltre, ed è ciò che rileva maggiormente, la corte aveva a disposizione ai fini della valutazione delle prove una serie di indizi, dal preventivo alla richiesta prova testimoniale, che avrebbe dovuto, ai fini del quantum valutare anche unitamente al comportamento della controparte, ai fini della quantificazione dell’ammontare».

Concludiamo riportando un breve passaggio di Cass. 15756/2015 relativo alla liquidazione in via equitativa. Dopo aver sostenuto la necessità di fornire prova effettiva del danno, la Corte scrive, per sottolineare ancora l’impossibilità di una prova insufficiente, che trattandosi di esborsi non è ammissibile una liquidazione in via equitativa.

L’ammissibilità di una liquidazione equitativa del danno richiede un approfondimento a parte cui ci si dedicherà in altra occasione.

© Annunziata Candida Fusco

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