Con il termine “deontologia” si indica comunemente il complesso delle norme di comportamento che disciplinano l’esercizio di una professione.

La disciplina degli aspetti deontologici è demandata, per le professioni tradizionali (le cd. professioni ordinistiche) agli ordini professionali, enti pubblici non economici a carattere associativo, dotati di autonomia regolamentare, patrimoniale e finanziaria in ottemperanza ai compiti loro demandati  (cfr. art. 24 dell’ordinamento forense, L. 247/2012; art. 6, d. lgsl. 139/2005, ord. dott. commercialisti).

Nel caso di professioni non regolamentate o comunque non protette, il compito di vigilare sull’”etica” professionale è preso in carico dalle associazioni (maggiormente) rappresentative nell’esercizio del loro potere di autoregolamentazione.

In un modo o nell’altro, insomma, le aggregazioni professionali sentono il bisogno di darsi regole comportamentali che possano informare l’esercizio dell’attività intellettuale a valori condivisi che travalicano lo stretto campo delle differenti professionalità.

Per le professioni ordinistiche le norme deontologiche sono raccolte in un codice deontologico, la cui natura di “fonte integrativa di precetto legislativo” è ormai indiscussa (Cass. SS. UU. 08.03.2022 n. 7501). Le norme comportamentali prodotte invece dalle associazioni per professioni non protette sono evidentemente frutto di regolamentazione privata, emesse nell’ambito dei normali poteri riconosciuti per legge o da statuto a tali enti.

Per i periti assicurativi iscritti nel ruolo di cui all’art. 157 CAP (D. Lg 209/2005) esistono “regole di comportamento” delineate dal Regolamento n. 1 del 23 ottobre 2015 emanato dalla Consap, oggi tenutaria del ruolo, il quale dedica all’argomento il solo articolo 5 (regole di comportamento dei periti).

Non si tratta dunque di vera e propria deontologia, nel senso tradizionale del termine, ma di regole comportamentali, potremmo dire etiche e/o morali cui i periti sono tenuti a conformarsi, pena l’esposizione a procedimenti disciplinari e all’irrogazione di sanzioni.

Riportiamo qui di seguito il testo dell’art. 5 cit.:

  1. Nell’esecuzione dell’incarico i periti debbono attenersi ai principi di diligenza, correttezza, trasparenza e professionalità, conformando altresì la propria condotta a criteri di imparzialità. In particolare, devono astenersi dallo svolgimento di incarichi nei quali sussistano situazioni di conflitto di interessi.
  2. I periti curano, periodicamente, il proprio aggiornamento professionale.
  3. I periti iscritti nel Ruolo sono tenuti a comunicare a CONSAP: a) la perdita dei requisiti previsti per l’iscrizione, entro dieci giorni lavorativi dal verificarsi dell’evento; b) la variazione delle informazioni fornite all’atto dell’iscrizione, entro venti giorni lavorativi dalla variazione stessa, mediante il modello di cui all’allegato n. 6 scaricabile dal sito internet della CONSAP”.

Il primo comma dell’art. 5 ricalca quasi del tutto il dettato dell’art. 156, comma 3, CAP, che testualmente recita:

“Nell’esecuzione dell’incarico i periti devono comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza”.

Non vi è dubbio che l’obbligo di conformarsi a regole di diligenza, correttezza e trasparenza sia imposto ai periti da fonte primaria, ribadito successivamente dalla fonte integrativa. Del pari, è chiaro che l’obbligo si impone ai periti nell’esecuzione dell’incarico. Una delimitazione del campo di azione di non poco conto.

Il Regolamento n. 1/2015 aggiunge la professionalità, una nota di competenza che affianca i tre criteri “morali” indicati dall’art. 156, al fine di rimarcare che lo spessore valoriale debba sempre accompagnarsi alla serietà con cui si esercita una attività delimitata legislativamente. A tutto ciò si aggiunge l’imparzialità, la quale è ulteriormente rafforzata dalla previsione dell’obbligo di astensione da incarichi che possano comportare un conflitto di interessi.

L’ultimo comma dell’art. 5 del Reg. prevede una serie di obblighi rivolti a garantire la veridicità e/o correttezza dei requisiti necessari all’iscrizione e alla permanenza nel ruolo, per cui la mancata comunicazione della variazione dei dati in tempo reale potrebbe avere ripercussioni sulla esattezza delle informazioni censite.

Degno di rilievo è il comma 2 dell’art. 5 del Reg., che afferma l’impegno dei periti a curare il loro aggiornamento professionale “periodicamente”. La disposizione così formulata non sembra contenere  un obbligo inderogabile, ma una sorta di dato di fatto, una necessità implicita nella natura stessa della attività professionale. La mancanza di una previsione sanzionatoria specifica lascia alla discrezionalità della categoria la scelta di perseguire o meno l’obiettivo di un aggiornamento dei saperi e delle competenze che dovrebbe essere priorità inderogabile per ogni singolo professionista. Ad ogni modo, non pare che al momento ci sia un controllo penetrante su chi non dovesse dare dimostrazione di aver curato il proprio aggiornamento.

Orbene, la scarsità dei riferimenti normativi in punto di etica professionale dei periti assicurativi lascia intravedere possibili  margini di criticità rispetto all’esercizio di una professione che è chiamata a svolgere un ruolo di rilevanza economico-sociale su più piani.

Se la diligenza e la professionalità rinviano alla scrupolosità e alla competenza con cui il perito deve adempiere il suo mandato rispetto alla committenza, la correttezza e la trasparenza sembrano accennare ad un aspetto che travalica la relazione cliente-professionista per estendersi ai rapporti con le altre parti coinvolte nella vicenda più ampia in cui si inserisce l’incarico professionale, comprendendo le controparti, i colleghi, le eventuali autorità di vigilanza del settore.

Ma gli obblighi sono circoscritti, come visto, all’ “esecuzione dell’incarico”.

Ciò vorrebbe dire, ad esempio, che i periti hanno doveri di correttezza, diligenza, trasparenza rispetto ai clienti e ai colleghi, ma solo nell’ambito dei confini tracciati dall’incarico formale e solo per il tempo strettamente necessario all’espletamento dello stesso.

Se così stanno le cose, ci chiediamo, ad esempio se esista un dovere di correttezza in generale che travalichi i limiti e la circostanza dell’incarico.

Insomma, quali criteri orientativi per discriminare il perito “corretto” da quello “non corretto” nei rapporti tra i colleghi e nel contesto sociale in cui agisce?

I codici deontologici (si veda in particolare quello forense) prevedono precetti puntuali circa la condotta anche extra-lavorativa dei professionisti, collocando la deontologia nella più ampia realtà in cui essi vivono e operano: regole che disciplinano l’ethos e il mos dentro e fuori la professione.

Non è possibile, a nostro sommesso avviso, elevare poche e sparute norme comportamentali a rango di norme deontologiche, laddove la carenza di un impianto e di una visione valoriale di fondo della professione non conferisce alla categoria le direttive per un orientamento significativo nell’agire sociale cui si è chiamati.

Per completezza, merita un cenno anche l’apparato delle sanzioni disciplinari previste per i periti assicurativi, anch’esse indicate dalla fonte primaria e integrate dai regolamenti Consap.

All’interno del Titolo XVIII del CAP (Sanzioni e procedimenti sanzionatori), il Capo VIII è interamente dedicato alle “disposizioni in materia disciplinare per i periti assicurativi” (artt. 329 – 331 bis). A questa trama si aggiungono le norme di integrazione emanate da ultimo da Consap in primis con l’art. 19 del Reg. 1 /2015 e successivamente con il Regolamento 2 del 23 ottobre 2023, specificamente intitolato Regolamento concernente la procedura di applicazione delle sanzioni disciplinari nei confronti dei periti assicurativi iscritti al Ruolo di cui al Decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 e successive modificazioni e integrazioni (Codice delle assicurazioni private)”.

Detto regolamento “disciplina la procedura sanzionatoria relativa all’applicazione delle sanzioni in materia di illeciti disciplinari previsti dal Codice delle Assicurazioni che siano commessi dai Periti assicurativi iscritti al Ruolo” (art. 2).

Come chiarisce l’incipit dell’art. 329 del CAP, “i periti assicurativi che nell’esercizio della loro attività violino le norme del presente codice o le relative norme di attuazione, sono puniti, in base alla gravità dell’infrazione e tenuto conto dell’eventuale recidiva” con le sanzioni specificamente declinate nel prosieguo della disposizione.

Ciò vuol dire che anche le poche e generiche indicazioni comportamentali di cui sopra si è parlato sono presidiate dalla previsione di un procedimento disciplinare che può sfociare nella irrogazione di sanzioni declinate in varie sfumature.

E’ possibile ipotizzare, ad esempio, che la violazione dell’obbligo di correttezza così come di quello di imparzialità finiscano sotto la lente indagatrice dell’organo disciplinare.

La questione aperta è sempre però la stessa cui sopra si accennava: in mancanza di una dettagliata definizione della fattispecie comportamentale, risulta alquanto difficile delimitare e definire le ipotesi suscettibili di rilevanza disciplinare. Sicuramente utile ed efficace sarebbe, oltre alla ipotizzata modifica delle norme regolamentari in materia, una dettagliata ed accurata disamina dei precedenti affrontati dai vari organi di vigilanza e/o disciplinari a partire dagli esordi della normativa sui periti. Tali precedenti, debitamente raccolti, potrebbero costituire un punto di riferimento per la creazione di prassi virtuose, nell’attesa che opportune modifiche diano una sistemazione accurata a tutta la materia.

© Annunziata Candida Fusco

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