Cassazione 30 luglio 2025 n. 21896
Il caso esaminato è un classico esempio di come sia necessario, ai fini dell’accertamento della responsabilità in ambito di circolazione stradale, non lasciare nulla al caso e usare sempre la massima diligenza a prescindere dalla guida del veicolo.
La Cassazione torna ad esaminare il concetto di concorso in colpa nel caso, purtroppo nefasto, di un trasportato morto a bordo di un veicolo condotto da persona sotto l’effetto di alcool.
Tizio era trasportato sul veicolo di Caio il quale perdeva in controllo in prossimità di una curva e andava a schiantarsi contro un muto di recinsione latistante la banchina. Gli eredi di Tizio agivano contro la compagnia assicurativa di Caio e contro quest’ultimo per sentirli condannare al risarcimento dei danni patiti per la perdita del loro congiunto. La compagnia assicurativa, nel costituirsi, eccepiva “che il trasportato versava in concorso colposo, per aver accettato di farsi trasportare da un conducente in evidente stato di ebbrezza”.
Il Tribunale di Ragusa risarciva solo in parte il danno agli eredi in quanto, in base all’art. 1227 cc, rilevava “il concorso, o meglio, la cooperazione colposa della vittima del sinistro nella produzione del danno, dato che egli aveva accettato di farsi trasportare da un conducente in stato di ebbrezza (tasso 1,89 rispetto a 0,50)” – sent. n. 203/2020.
Gli eredi proponevano appello; la Corte d’Appello di Catania, con sent. 2007/2021, confermava la sentenza di primo grado. Contro la sentenza d’appello gli eredi proponevano ricorso in Cassazione sulla base di un unico motivo ossia la violazione e falsa applicazione dei principi ex art. 1227 cc (concorso in colpa). Secondo i ricorrenti l’errore consisteva nell’aver ritenuto che il trasportato avesse messo in essere una condotta attivamente rivolta a cooperare con il conducente, il quale, seppure in stato di ebbrezza, non necessariamente appariva tale; infatti non sempre lo stato di ebbrezza è esteriormente percepibile tant’è che non vi era né la prova dello stato di ebbrezza del conducente né la prova della consapevolezza del trasportato.
Secondo la Cassazione il motivo è infondato.
Spiega la Corte che prima di tutto non è fondato il riferimento dei ricorrenti a Cass., 7 dicembre 2005, n. 27010 che, in un caso simile, sancisce la necessità della cooperazione attiva nel fatto colposo del danneggiante affinché si possa invocare l’art. 1227 cc.
Il caso di concorso riportato nella summenzionata sentenza è stato ampiamente superato da Cass. 22 maggio 2006 n. 18974 relativo alla circolazione di ciclomotore, costruito ed abilitato per il trasporto di una persona sola, ed invece circolante con a bordo più persone. In questo caso la Cassazione si era espressa come segue: “qualora la messa in circolazione dell’autoveicolo in condizioni di insicurezza (e tale è la circolazione di un ciclomotore con a bordo due persone in violazione dell’art. 170 C.d.S.), sia ricollegabile all’azione o omissione non solo del trasportato, ma anche del conducente (che prima di iniziare o proseguire la marcia deve controllare che essa avvenga in conformità delle normali norme di prudenza e sicurezza), fra costoro si è formato il consenso alla circolazione medesima con consapevole partecipazione di ciascuno alla condotta colposa dell’altro ed accettazione dei relativi rischi; pertanto, in caso di eventi dannosi si verifica un’ipotesi di cooperazione nel fatto colposo, cioè di cooperazione nell’azione produttiva dell’evento” (cfr. anche Cass., 13 maggio 2011, n. 105269). Proprio con riferimento a tale caso la Corte ha avuto modo di elaborare il suo orientamento secondo cui si configura “una deliberata e consapevole partecipazione alla condotta colposa con l’accettazione dei relativi rischi, oltre la soglia del cd. “rischio consentito”, con la conseguente piena applicazione dell’art. 1227 cod. civ. (v. anche Cass., 14 marzo 2017, n. 6481)”. Tale principio è stato poi applicato alla fattispecie del passeggero di un autoveicolo che non abbia allacciato le cinture di sicurezza, configurandosi anche in tale ipotesi un concorso in colpa dello stesso passeggero superando l’idea della esclusiva responsabilità del conducente per condotta omissiva, configurandosi anche in questo caso una cooperazione colposa di entrambi (Cass. 10 giugno 2020, n. 11095; Cass., 27 marzo 2019, n. 8443; v. anche Cass., 4 settembre 2024, n. 23804).
L’art. 1227 cc deve essere, inoltre, interpretato alla luce dei principi unionali, ossia nel rispetto di quanto stabilito dall’ ”art. 13 della Direttiva 2009/103/CE – che impone agli Stati membri di considerare senza effetto qualsiasi disposizione di legge che escluda dalla copertura assicurativa un passeggero che sapeva (o avrebbe dovuto sapere) che il conducente del veicolo era sotto effetto di alcol o di altre sostanze eccitanti”.
Ciò però, “non consente di ritenere sempre sussistente, in via generale ed astratta, il concorso di colpa del danneggiato che ha accettato di essere trasportato sul mezzo condotto da una persona in stato di ebbrezza, e si deve invece valutare, in concreto e secondo le circostanze del caso, se ed in che misura la condotta della vittima possa dirsi concausa del sinistro, fermo restando il divieto di valutazioni che escludano interamente il diritto al risarcimento spettante al trasportato nei confronti dell’assicuratore del vettore” (Cass., 17 settembre 2024, n. 24920)”.
“Ne deriva dunque (cfr. Cass., 17 settembre 2024, n. 24920, cit.) che mentre contrasterebbe con l’art. 13 Direttiva 2009/103 una norma di diritto interno che escludesse o limitasse ipso facto il diritto al risarcimento del passeggero, per il solo fatto di avere preso posto a bordo d’un veicolo condotto da persona ubriaca, non viola per contro il diritto comunitario una norma di diritto nazionale che, senza fissare decadenze o esclusioni in linea generale, consente al giudice di valutare caso per caso, secondo le regole della responsabilità civile, se la condotta della vittima possa o meno ritenersi colposamente concorrente alla produzione del danno”.
Tanto premesso, la Cassazione ritiene corretta la decisione della corte territoriale che ha fatto saggia applicazione dei principi sopra richiamati:
“È dunque possibile affermare, diversamente da quanto sostenuto nell’unico motivo di ricorso, che è proprio il comportamento del trasportato che si pone all’inizio della sequela eziologica che si è conclusa per lui con l’evento dannoso più gravoso, la morte: il trasportato – del quale è stato rilevato un tasso alcolemico analogo a quello riscontrato sul conducente, circostanza questa che riconduce l’assunzione dell’alcol ad un momento di comune consapevolezza ed accettazione del rischio fra vittima e conducente – pur accorgendosi o potendosi accorgere dello stato di ebbrezza del conducente dell’auto – si è tuttavia esposto volontariamente ad un rischio oltre la soglia del “rischio consentito”, quando è salito sull’auto e non ne ha impedito affatto la circolazione, pericolosa anzitutto per sé oltre che per gli altri, in violazione di norme comportamentali comunemente adottate dalla coscienza sociale oltre che di precise regole del codice stradale”.
In conclusione, in ricorse viene rigettato integralmente con conferma della statuizione del giudice d’appello in termini di corresponsabilità delle parti coinvolte.
Per la lettura integrale sella pronuncia si rinvia all’allegato in calce.





